Risploveriamo anche quest'ennesimo nome da culto più assoluto fra il
popolo di rockers del vecchio continente, anche perchè il moniker dei
From the Fire risuona ancora in maniera altisonante per chi,
sottoscritto compreso, ha da sempre considerato questo Thirty Days,
Dirty Night un piccolo gioiello di maturità artistica asservita ad una
qualità compositiva e ad una certa duttilita stilistica che, quasi da
sempre, hanno caratterizzata una scena musicale come quella americana
legata a doppia mandata nella rievocazione di un certo sound corposo e
vitale pregno pur sempre di rimandi ottantiani e che, incurante delle
mode e degli stili musicali che si sono avvicendati con scarsi
risultati, ha saputo mantenere una certa veridicità di fondo. E proprio
dai magici anni ottanta proveniva il fulcro centrale dei From the Fire,
che, formatisi per volere del talentuoso, ma allora praticamente
sconosciuto, vocalist J.D. Kelly e dal più navigato guitar player Tommy
Lafferty, già in forza ai cult heroes Voodoo X del coloured biondo
crinito Jean Beauvoir, per il loro disco di debutto si circondarono di
un manipolo di ottimi musicisti da studio provenienti dall'hinterland
newyorkese che solo più tardi conobbero più fama come il futuro
tastierista della band del mitico J.L. Turner, Paul Morris.
Sormontato da una copertina alquanto insiginifcante, ma dotato di una
produzione altamente speculare e di un suono che definire vintage sembra
quasi riduttivo, Thirty Days, Dirty Night, che vedeva coinvolto lo
stesso Beauvoir nelle vesti di co-produttore esecutivo, si contorna di
composizioni sopraffine e di esecuzioni cristalline, suoni morbidi quasi
al limite dell'airplay più radiofonico, che cercano di prendere con
ogni modo le dovute distanze dal suono viscerale e corrosivo dellepoca,
inizio anni novanta, preferendo invece adagiarsi su sognanti partiture
melodiche che trovano nell'ugola d'oro del grande J.D. Kelly,
l'esponente più significativo di un'intero songwriting asservito anima e
corpo al rock melodico di band come Foreigner, Balance e Loverboy. Non a
caso, durante l'alternarsi delle nove song ivi contenute, gli intrecci
melodici che si vengonoi a creare sono tutt'altro che tesi, anche se gli
up tempo non mancano di certo, vedi la grintosa e sanguigna Same Song,
Pomp Rock a la Giuffria/House of Lords, o Spark and Flame, brillante AOR
song baciata da un dinamismo e da una vitalità che ne fanno uno dei
migliori episodi di tutto il disco, grazie anche alla presenza della
suadente Theresa Straley degli Harlow, la band degli ex Black'n Blue,
che si prodiga in un avvincente duetto con il mai domo vocalist della
band in questione.
Di tut'altro spessore antagonistico ed artistico,
sono quegli episodi giocati volutamente su atmosfere più soffuse come la
dolce e tenue Hold On, costriuta su delicati arabeschi di chitarra e
morbidi tappeti tastieristici sui quali si inerpica un delizioso refrain
e un chorus così soave e gradevole da far accaponare la pelle, o le
cangianti atmosfere sulle quali si edifica l'altrettanto melodicissima e
catchy Take my Heart, toccante ed emozionante quanto basta, che
avvicina sensibilmente i nostri all'operato di band come Reo Speedwagon e
Journey soprattutto. Che dire, un disco fondamentale, monumentale nel
suo prodigarsi al servizio della melodia più pura ed incontrastata, a
meno di un'improbabile ristampa in cd, mettete pure mani al vostro
portafoglio ed armatevi di buona pazienza, questo disco stà aspettando
solo voi.
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